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Storie di Roma

Il blog di Fabio Salemme su RomaGuideTour.it

Sport e Professioni dell’Antica Roma: Gli Aurighi di Circo Massimo

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Con l’inaugurazione del ciclo di articoli della Storia a Storie, inaugurato allo scorso articolo, abbiamo scoperto la figura di Enomao, auriga della Roma Imperiale. Una figura inventata, ma che riporta alla vita il personaggio e la storia dell’auriga Fuscus, e di uno dei luoghi che l’hanno visto trionfare, il Circo Massimo.

Parlando del Circo Massimo sappiamo che la prima struttura fu realizzata in legno e risalirebbe all’epoca di Tarquinio Prisco, e quindi alla prima metà del VI sec a.C. La gigantesca struttura fu inaugurata in occasione della grande festività popolare Ludi Romani per la celebrazione della vittoria sulla città di Apiolae.

La costruzione dei primi elementi stabili, sempre in legno, in realtà risalirebbe al IV sec a.C. con i carceres (gli ambienti dove sostavano gli equipaggi prima della partenza di una gara), mentre per le strutture in muratura bisognerà aspettare fino al II sec a.C. quando con Gaio Giulio Cesare si arriva alla forma definitiva dell’edificio con la costruzione dei primi sedili in muratura (I sec a.C.).

Seguiranno diversi restauri nel corso dei secoli che ne migliorarono la struttura, come quando per volere di Augusto e poi Costanzo II, si aggiunsero degli obelischi portati dall’Egitto: quello di Augusto risalente all’epoca di Ramses II, e il secondo risalente al XV secolo a.C., entrambi utilizzati per decorare la spina del campo di gioco (una balaustra che separava le due corsie). Oggi questi obelischi li possiamo trovare in due celebri piazze di Roma, il primo a Piazza del Popolo (noto anche come Obelisco Flaminio), il secondo a Piazza di San Giovanni in Laterano (noto come Obelisco Laterano), il più grande obelisco egizio al mondo. Le ultime gare al Circo Massimo vennero organizzate da Totila nell’anno 549 d.C., dopo la fine dell’Impero Romano d’Occidente.

Le dimensioni di Circo Massimo erano eccezionali, soprattutto per l’epoca. Lungo 600 metri e largo 140, non erano le dimensioni l’unico elemento caratterizzante, anche le decorazioni facevano la loro parte. La facciata esterna ad esempio era decorata su tre ordini ma solo quello inferiore, di altezza doppia, era ad arcate che davano ancora più slancio e monumentalità alla struttura.

Come per il Colosseo, la cavea poggiava su strutture in muratura, che ospitavano i passaggi e scale per raggiungere i diversi settori e posti a sedere. Non potevano mancare ambienti di servizio interni e le immancabili botteghe aperte verso l’esterno che vendevano ogni cosa, dalle cibarie ai cuscini per assistere agli spettacoli, fino a qualche oggetto o souvenir per fare colpo su qualcuno durante le gare, dato che i giochi erano anche un importante contesto sociale sia per fare affari che per “rimorchiare“.

Nell’arena si svolgevano le corse dei carri, che potevano essere trainati da due cavalli (bighe), tre cavalli (trighe), quattro cavalli (quadrighe) e non mancavano quelle a sei cavalli (sestighe). I carri dovevano compiere sette giri intorno alla spina centrale tra le due mete. La spina era riccamente decorata non solo dagli obelischi ma anche da statue, edicole e tempietti che ospitavano sette uova e sette delfini da cui sgorgava l’acqua, utilizzati per contare i giri della corsa.

Nell’arena del Circo Massimo erano inoltre presenti dodici carceres, cosa che ci fa capire che probabilmente anche se i carri erano di solo quattro colori, poteva esserci in campo più di un carro della stessa squadra, e quindi si spiegano le dodici strutture di partenza che si trovavano sul lato corto rettilineo verso il Tevere, disposte obliquamente per permettere l’allineamento alla partenza, e dotati di un meccanismo che ne permetteva l’apertura simultanea senza penalizzare nessuno dei giocatori.

RomaGuideTour - Visite guidate a Roma | Circo Massimo - ricostruzione
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Con la fine dell’Impero romano Circo Massimo entrò in una fase di decadenza e fu riutilizzato per diversi scopi, per lo più di carattere agricolo, e fu anche occupato da diverse costruzioni “di utilità” come il cimitero israelitico e un gazometro, mentre tra i vari riutilizzi moderni il Circo Massimo è arrivato di recente ad ospitare grandi concerti ed eventi culturali, mentre l’evento che probabilmente è rimasto impresso più di tutti è stato quando nel 2006 migliaia di tifosi invasero l’antica pista per celebrare la vittoria della Coppa del Mondo da parte della nazionale italiana di calcio.

Nel nostro articolo sull’auriga Fuscus abbiamo notato una serie di curiosità, come quella che ci fossero dei box per ogni scuderia proprio come avviene oggi per le gare di Formula 1. Non potevano mancare le scommesse che precedevano l’inizio delle gare, e la solenne processione (pompa) che faceva il giro del circuito di Circo Massimo attorno alla spina, seguita poi da sacrifici in onore delle divinità di turno a cui si dedicava la festività.

L’inizio della competizione vera e propria era annunciato da chi presiedeva i giochi; poteva essere l’imperatore ma anche un console, pretore o edile a seconda dei casi. Il suo compito era quello di dare il segnale di partenza facendo cadere un drappo bianco dall’alto della tribuna, allo squillare della tromba. Le squadre partecipanti erano quattro, ciascuna contraddistinta da un colore: il bianco (factio albata), il rosso (factio russata), il verde (factio prasina) e il blu (factio veneta). Ciascuna fazione era composta da più carri, affiancati da tutti coloro che facevano parte della squadra (allenatori, veterinari, sarti, sellai, palafrenieri, ecc). La disposizione delle squadre per la partenza veniva in genere decisa a sorte.

Il vestiario dell’auriga romano era perlopiù composto da una tunica corta con maniche lunghe del colore della fazione di appartenenza, un elmetto, giubbotto e calzari di pelle che gli assicuravano un minimo di protezione soprattutto contro i colpi degli altri aurighi. Anche il cavallo veniva vestito per la gara con un ramo sulla testa, la coda stretta in un nodo e la criniera adornata di perle, mentre sul pettorale non potevano mancare borchie e amuleti. Il collo del cavallo era poi collegato ad un collare flessibile ed una reticella del medesimo colore della fazione per la quale correva, collegato poi alle redini dell’auriga che soleva legarle intorno alla vita, per controbilanciare la forza centrifuga ad ogni curva vista la leggerezza del carro ma anche perché se l’auriga avesse perso il controllo della biga, sarebbe comunque rimasto legato al cavallo, e quindi ancora ufficialmente in gara.

Questo però poteva rivelarsi anche un rischio perché in caso di incidente (naufragium), se l’auriga non fosse riuscito a liberarsi, avrebbe rischiato di essere travolto dal suo stesso carro o da quelli che lo seguivano. Per tale motivo gli aurighi portavano sempre in gara un piccolo coltello, da usare in caso di pericolo per tagliare le redini e liberarsi cercando di salvarsi. Nella Roma Imperiale non era solo l’auriga ad essere acclamato dalla folla, ma anche il cavallo raggiungeva lo status di star, come si può riscontrare in un iscrizione di un mosaico di un impianto termale delle oramai distrutte Terme di Numidiache. Sappiamo infatti che il proprietario Pompeiano fece scrivere: Vincas, non vincas, te amamus, Polydoxe! (Che tu vinca, che tu non vinca, noi ti amiamo, Polidosso!).

Gli aurighi spesso erano schiavi, ma nonostante ciò in caso di vittoria era riconosciuto loro un premio che solitamente consisteva in una corona di alloro e del denaro. Come accadeva per i gladiatori, anche gli aurighi vincendo molte gare potevano poi riscattare la propria libertà, sempre ammesso che riuscivano a restare vivi. La mortalità tra gli aurighi era molto alta e la maggior parte moriva giovanissima, come nel caso di Fuscus, che aveva appena 24 anni, o di un altro grande auriga, Scorpus, forse il più famoso auriga di Roma, morto a soli 27 anni anche lui probabilmente durante una corsa.

Per i fortunati che riuscivano a vincere e a sopravvivere le ricchezze erano davvero enormi e includevano non solo i premi per le gare vinte, ma anche i lauti compensi che esigevano per non abbandonare la propria fazione e passare ad un’altra, una sorta di bonus proprio come avviene ai nostri gironi con i calciatori o altri atleti di fama mondiale.

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