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Il blog di Fabio Salemme su RomaGuideTour.it

Tempio di Vesta a Tivoli: il Culto di Vesta e l’Ordine delle Vestali

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Tivoli non è solo la città che custodisce l’affascinante villa rinascimentale Villa d’Este, lo straordinario complesso archeologico di Villa Adriana, residenza ufficiale dell’imperatore Adriano e del suo seguito di corte, politico e militare, o i percorsi romantici nella natura selvaggia di Villa Gregoriana, di cui vi abbiamo parlato di recente. Già nel nostro ultimo articolo ci siamo soffermati sull’importanza storica ed archeologica dell’Acropoli di Tivoli. Oggi ci soffermiamo sull’Acropoli di Tivoli, iniziando ad esplorare il Tempio di Vesta, entrando in dettaglio su cosa erano e che importanza avevano nell’antica Roma il culto di Vesta e l’Ordine delle Vestali; nel prossimo articolo invece ci dedicheremo al contiguo e ancora più antico Tempio della Sibilla.

La divinità Vesta rappresenta nella cultura pre-Romanica e dell’antica Roma la deificazione del culto del fuoco, la cui istituzione con la creazione delle vergini sacre per la custodia del fuoco sacro, le Vestali è attribuita direttamente a Romolo, primo re di Roma, mentre altre fonti la relazionano a Numa Pompilio, suo successore. In ogni caso l’antichità del culto di le Vesta e dell’ordine delle vestali è attestata dalla leggenda della fondazione di Roma, secondo la quale Rea Silvia, madre di Romolo e Remo, era una Vestale di Albalonga. Tito Livio ci riporta che le Vestali di Roma, derivate proprio dal culto del fuoco di Albalonga, furono tra i primi ordini sacerdotali creati da Numa Pompilio, subito dopo la costituzione dei Flamini, e prima di quella dei Salii e dei Pontefici.

Il compito delle Vestali era di mantenere sempre acceso il sacro fuoco alla dea Vesta, che rappresentava la vita della città, e di preparare gli ingredienti necessari ai sacrifici pubblici e privati, come la mola salsa, un mosto di farina di farro e sale tostati con cui si cospargevano le vittime dei sacrifici (da qui proviene il termine immolare). Alle Vestali erano anche affidata la custodia degli oggetti più sacri di Roma, i Pignora Imperii, i 7 talismani sacri che garantivano la potenza eterna di Roma, tutti conservati nel Tempio di Vesta, inclusi i dodici scudi sacri (Ancilia) di Marte, dio della guerra e il Palladium, la statua della dea Atena che Enea portò da Troia.

Le vestali venivano sorteggiate all’interno di un gruppetto di una ventina di bambine di età compresa fra i 6 e 10 anni, originariamente solo da famiglie patrizie, poi successivamente anche dal popolo. In principio le Vestali erano quattro (o tre) giovani fanciulle vergini, in seguito il loro numero fu portato a sei. La Vestale più anziana aveva il titolo di “Virgo Vestalis Maxima“. Consacrate dal Pontefice Massimo a Vesta, le vestali erano sottoposte alla divinità mentre erano virtualmente sposate al Pontefice Massimo come ad un marito (status simile a quello odierno delle suore nella chiesa cattolica, che sono simbolicamente “sposate a Gesù”), e a lui dovevano rispondere direttamente in caso di eventuali mancanze, come lo spegnimento del fuoco sacro e le relazioni sessuali, considerato un atto sacrilegio imperdonabile (incestus).

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L’abbigliamento delle Vestali consisteva essenzialmente in vesti bianche, accompagnate da elaborate acconciature a trecce, i “seni crines“, con i capelli lunghi portati attorcigliati sul capo e sormontati da una benda sacra a più spire con due bende finali che ricadevano sulle spalle, con l’acconciatura coperta da un velo fissato con un spilla.

Una delle regole fondamentali per le Vestali era quella che imponeva la conservazione della verginità per tutto il tempo del loro servizio nell’ordine, circa 30 anni e comunque fino ai 40 anni di età. Le Vestali che trasgredivano alla regola non poteva essere perdonate, ma neppure uccisa da mani umane, in quanto rimanevano sempre figure sacre alla dea. Nel caso in cui una Vestale avesse consumato un rapporto sessuale prima di uscire dall’ordine o avesse lasciato spegnere il fuoco sacro, la pena prevista era severissima; la Vestale veniva prima fustigata e poi, vestita con abiti funebri, trasportata in una lettiga chiusa, come un cadavere al Campus Sceleratus, che era situato in prossimità di Porta Collina, dentro le mura dell’Urbe sul colle del Quirinale. Qui la Vestale veniva sepolta viva con una lampada e una piccola provvista di pane, acqua, latte e olio, e il suo nome poi veniva cancellato dalla storia. L’amante della Vestale (incestus) subiva invece la pena destinata agli schiavi, la fustigazione a morte.

I 30 anni di servizio di una vestale erano suddivisi in questo modo: nei primi 10 anni le vestali erano considerate novizie e quindi apprendevano i segreti dell’ordine, nel secondo decennio erano addette al culto, mentre negli ultimi dieci anni di servizio erano dedicate all’istruzione delle novizie. Dopo i 30 anni di servizio erano libere di lasciare l’ordine e sposarsi, ammesso che avessero trovato qualcuno disposto a sposarle dato che una donna romana spesso contraeva matrimonio prima del compimento dei 18 anni.

Alle vestali erano comunque concessi grandi diritti e onori come fare testamento, avere il rispetto di magistrati e autorità cittadine fino a poter testimoniare senza giuramento e graziare condannati a morte, grandi privilegi in genere esclusivi a figure di potere maschili, ma a cui le donne romane non avrebbero mai potuto accedere nè ambire nella società maschilista romana. Le condanne a morte di Vestali erano in realtà sacrifici umani mascherati da finte accuse di incesto, con le Vestali (in genere quelle che tendevano a creare scompensi tra il gruppo di sacerdotesse) sacrificate come vittime per placare gli dei in caso di disfatte militari o di irrequietezza sociale.

Molte sono le Vestali delle quali la condanna/sacrificio è stata tramandata dalla storia. Dionigi di Alicarnasso ci parla della Vestale Orbilia che fu sacrificata per cercare di allontanare l’ondata di peste che colpì Roma nel 472 a.C.. Orbilia fu trovata colpevole di aver rotto il voto di castità e fu condannata a morte. Dopo la sua condanna, uno dei suoi due amanti si suicidò, e l’altro fu giustiziato nel Foro. Livio invece narra della Vestale Minucia, condannata nel 337 a.C. ad esser sepolta viva per aver sfoggiato un abbigliamento non adeguato alla posizione occupata, ma narra anche della Vestale Tuccia che nel 230 a.C. dopo essere stata accusata di non conservato la sua verginità, fu scagionata grazie ad un miracolo attribuito alla stessa dea Vesta.

Nel periodo del tardo impero romano, una lettera inviata da Quinto Aurelio Simmaco inviò al Praefectus Urbi e successivamente al Vicario di Roma ci informa della condanna di Primigenia, Vestale di Alba, assieme al suo amante Maximus, per aver violato il voto di castità. Nei racconti di Ovidio invece figura anche la Vestale Claudia, che dopo essere stata accusata di infedeltà, dimostrò di essere innocente disincagliando alla foce del Tevere la nave che portava la statua di Cibele che conteneva la pietra nera (lapis niger), considerata una reliquia propiziatrice della sorte di Roma durante la seconda guerra punica combattuta contro Annibale. La Vestale Claudia chiese a al dio Cibele di aiutarla nell’impresa e, secondo la leggenda tramandata da Ovidio, riuscì a tirare la nave fuori dalla secca trainandola solamente con la sua cintura.

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Oltre alle Vestali passate alla storia per condanne a morte e sacrifici, la storia ci tramanda anche alcune figure di Vestali celebri che hanno lasciato il segno nella cultura dell’antica Roma, a partire da Aquilia Severa, la vestale imperatrice, che nell’anno 220d.C. sposò l’imperatore Eliogabalo, che si identificava con il dio Sole, prima di concludere il suo servizio nell’ordine delle Vestali. Il matrimonio di Aquilia Severa con Eliogabalo fu una cerimonia che simulava quello delle due divinità, e fu oggetto di scandalo per la popolazione romana. Aquilia Severa non diede eredi all’imperatore, che la divorziò l’anno successivo per sposare Annia Faustina. Quando pochi mesi dopo anche il matrimonio con Annia Faustina naufragò, Eliogabalo rivolle con sè Aquilia Severa, sostenendo che il loro divorzio non era da considerare valido. Non si hanno notizie di Aquilia Severa dopo l’uccisione di Eliogabalo nel 222.

Nel 1929 fu scoperta tra il fiume Aniene e la Via Valeria, in un luogo anticamente destinato a cimitero pubblico, l’unica tomba di Vestale di cui si abbia conoscenza, quella della Vestale Cossinia, morta a circa 75 anni. Anche se molti aspetti storici sul personaggio restano ancora ignoti, sappiamo che proveniva da famiglia di livello sociale agiato, che era nota la sua devozione al culto di Vesta, non avendo mai lasciato il Tempio neanche dopo aver raggiunto i 30 anni di servizio, così come l’amore della comunità tiburtina per la donna.

La tomba della Vestale Cossinia reca un’incisone che riporta “Alla Vergine Vestale Cossinia figlia di Lucio” con un’iscrizione metrica che informa: “Qui giace e riposa la Vergine, trasportata per mano del popolo, poiché per sessantasei anni fu fedele al culto di Vesta. Luogo concesso per decreto del Senato“. La lapide di Cossinia non porta il suo nome personale (cognomen) perché all’epoca era inusuale. e questo elemento spinge a datare la tomba di Cossinia non oltre la metà del I secolo d.C. Noi siamo stati affascinati così tanto dal personaggio, che lo abbiamo riportato in vita nel corso di uno dei nostri tour teatralizzati con attori in costume d’opera recentemente proposti a Tivoli. Un’altra celebre vestale di cui sono rimaste tracce storiche è sicuramente la sacerdotessa Celia Concordia, vissuta sul finire del IV secolo d.C. quando la religione cristiana oramai si affermava sempre più nell’Impero Romano. 

Prudenzio nella sua raccolta di inni, il Liber Peristephanon, parla della Vestale Claudia, convertita al cristianesimo nel tardo IV sec., possibilmente la stessa Claudia sepolta nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura. L’ultima gran sacerdotessa dell’Ordine delle Vestali di Roma fu Celia Concordia, nominata nell’anno 384 quando il Cristianesimo si andava affermando sempre di più nell’Impero. La fine del culto di Vesta non causò almeno per un paio di secoli la fine dell’Ordine delle Vestali, e le Vestali continuarono ad essere amate ed onorate dal popolo romano fino al IV secolo, soprattutto dalla popolazione femminile.

Il culto di Vesta venne gradualmente abbandonato a partire dall’Editto di Tessalonica, con il quale la religione cristiana diviene religione di stato, e si estinse successivamente nel 391, quando l’imperatore Teodosio I con una serie di decreti proibì il mantenimento di qualunque culto pagano, e il sacro fuoco nel tempio di Vesta venne spento decretando anche la fine dell’ordine delle vestali. Tra le descrizioni che rappresentano meglio la fine del culto di Vesta c’è sicuramente quella di Ferdinand Gregorovius che così descrive l’ingresso dell’imperatore Teodosio a Roma:

I cristiani di Roma trionfavano. La loro tracotanza arrivò al punto, lamenta Zosimo, che Serena, sposa di Stilicone, entrata nel tempio di Rea, prese dal collo della dea la preziosa collana e se la cinse. Assistendo a questa profanazione, l’ultima vestale versò lacrime disperate e lanciò su Serena e su tutta la sua discendenza una maledizione che non andò perduta.

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Dopo aver esplorato il culto di Vesta e i principali aneddoti sulle Vestali che la storia ci ha tramandato, entriamo nell’esplorazione fisica del Tempio di Vesta dell’acropoli di Tivoli. Sappiamo che questo tempio si trova a coronamento dell’antica acropoli di Tivoli, adiacente all’altrettanto importante e più antico Tempio della Sibilla. Il tempio è conosciuto come Tempio di Vesta, anche se ancora oggi il suo collegamento a Vesta e alle sue sacerdotesse è molto dibattuta, con attribuzioni alternative come alla stessa Sibilla, a Tiburto (fondatore di Tibur, l’antica Tivoli) e ad Ercole.

Il Tempio di Vesta fu costruito nella prima metà del I secolo a.C. probabilmente da un certo Lucio Gellio. Sull’architrave del Tempio di Vesta è infatti, possibile leggere “E. L. GELLIO. L. F.” che potrebbe essere il nome del costruttore o, secondo altre ipotesi, colui che ne finanzio i lavori. Ad oggi prevale l’attribuzione tradizionale che lo collega a Vesta, la dea del focolare.

L’edificio si presenta a pianta circolare con un diametro di circa 14 metri e un podio rialzato a più di 2 metri dal suolo. Originariamente doveva essere rivestito da un ordine architettonico in travertino formato da 18 colonne in stile corinzio (oggi ne rimangono solo 10) che sorreggeva una trabeazione con fregio decorato con bucrani e festoni, mentre l’interno presenta muri realizzati in calcestruzzo ad opus incertum.

La struttura presenta influenze architettoniche diverse, come il basamento cilindrico rivestito in conci di travertino ad opus quadratum derivante probabilmente dalla tradizione medio-italica, mentre il soffitto a cassettoni del portico anulare potrebbe avere una derivazione ellenistica. Infine il tutto doveva essere coperto da un tetto conico, anche questo derivante dalla tradizione locale, come in uso per le capanne e costruzioni primitive dei popoli latini della Valle dell’Aniene e non solo.

Probabilmente questo mix era nelle intenzioni degli architetti preposti al piano regolatore dell’età sillana, che avrebbe dato un volto nuovo alla città di Tibur e allo stesso tempo collegato la modernità con le antiche tradizioni romane e tiburtine. Anche la scelta di far contrastare la sua eleganza e sopra gli orridi dirupi creati dall’allora cascata naturale dell’Aniene che si tuffava nella Valle dell’Inferno è stata una scelta estetica, oltre che simbolica. Il Tempio di Vesta doveva infatti rappresentare una sorta di simbolo, come la capacità umana di saper costruire edifici raffinati anche nei luoghi meno accessibili e contro tutte le difficoltà naturali.

La costruzione del Tempio di Vesta fu preceduta da una fase progettuale necessaria a mettere il sito in sicurezza, innalzando potenti costruzioni ad arcate sopra gli speroni rocciosi per creare una piattaforma artificiale sulla quale fu eretto il tempio rotondo, con un effetto scenografico volutamente studiato, in relazione con il bello orrido sottostante: grotte e anfratti su cui precipitava fragorosamente il fiume Aniene, a cui poi si poteva collegare la leggenda del bosco di Tiburno che descrive il luogo come quello dove si trovava l’antro della sibilla Albunea (la domus Albuneae resonantis di cui parla Orazio).

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Per quanto riguarda la sistemazione interna il Tempio di Vesta presenta sulla parete di fondo vi era una teca originariamente chiusa con sportelli di legno, che secondo la tradizione doveva custodire le reliquie collegate al culto di Vesta e l’ultimo dei libri sibillini miracolosamente sopravvissuto. Sempre secondo la tradizione, vi fu un altro miracolo nel recupero di questo libro fondamentale per la religione romana: si narra che l’ultimo libro sibillino sopravvissuto fu recuperato nell’Aniene da una statua raffigurante la Sibilla che aveva nella sua mano proprio il libro delle sue profezie.

Il periodo successivo alla fine dell’Antica Roma e del suo impero fu sicuramente meno prospero, e per questo caratterizzato soprattutto da riutilizzo dei marmi antichi, prassi che come abbiamo già accennato in altri articoli del nostro blog caratterizzerò non solo le costruzioni di Roma ma anche quelle delle altre città d’Italia, Tivoli compresa. Studiando l’attuale pianta del Tempio di Vesta si può rilevare quanto sia andato perduto dell’antico tempio. Probabilmente nulla sarebbe restato da quest’avida ricerca di marmi e pietra sagomata e da questo riutilizzo quasi compulsivo, per costruire nuovi edifici legati a mode e gusti diversi nel corso dei secoli, che portò a rapida fine gli antichi edifici, considerati alla stregua di cave da cui asportare il massimo possibile.

Fu la sua trasformazione in chiesa nel corso del medioevo a salvare il Tempio di Vesta da distruzione pressoché certa, L’antico tempio non cambiò solo tipologia trasformandosi da tempio pagano a chiesa ma anche nome, e dobbiamo dire che fu sicuramente azzeccato in considerazione della sua forma, data che la nuova chiesa fu chiamata con il nome di Chiesa di Santa Maria della Rotonda. Ancora oggi è possibile ritrovare segni dell’antica struttura dedicata a Vesta nei pochi frammenti di pitture che furono realizzati all’interno dell’antica cella del tempio.

La riscoperta delle vestigia del mondo antico combinato con paesaggi mozzafiato che caratterizzavano invece le bellezze naturali saranno i motivi principali che spingeranno studiosi, artisti e semplici viaggiatori a riscoprire posti quasi incontaminati come Tivoli e la sua acropoli stagliata su una monumentale cascata naturale. Tivoli di fatto per tutto il 1700 e gran parte dell’800 è stata una meta fissa del Grand Tour che caratterizzeranno tutto il ‘700 e non solo. Il Grand Tour, come abbiamo raccontato nel nostro articolo precedente, era il lungo viaggio nell’Europa continentale in uso tra gli aristocratici delle dinastie nobiliari dell’Europe continentale, che a partire dal XVII secolo, solevano partire per un lungo viaggio, spesso senza una data certa di ritorno, destinato a perfezionare la conoscenza di nuovi luoghi e culture.

La fortuna del Tempio di Vesta si deve in realtà far risalire a ben prima del Grand Tour; il tempio fu infatti riscoperto e studiato da famosi artisti del Rinascimento, tra i quali gli architetti Sebastiano Serlio e Andrea Palladio, che ne fecero studi accurati nei loro trattati sull’architettura, ma anche da Giovanni Battista Piranesi che riproducendo il tempio di Vesta nelle sue incisioni per tutto l’800, renderà l’Acropoli di Tivoli e il Tempio di Vesta una delle icone più caratteristiche per numerosi artisti romantici.

Interessati a scoprire la città di Tivoli, le sue ville e le sue meraviglie? Seguitemi nel mio popolare tour di Tivoli: Villa Adriana, Villa D’Este e Villa Gregoriana o in un altro dei miei classici tour e visite guidate a Roma e provincia.

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