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Storie di Roma

Il blog di Fabio Salemme su RomaGuideTour.it

C’era una Volta l’Insula Felicles, il Grattacielo dell’Antica Roma

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Abbiamo parlato nei precedenti articoli delle insulae, i condomini dell’antica Roma, e delle loro caratteristiche. Oggi parleremo di una di queste insulae, forse la più grande mai costruita, tanto da assomigliare ad un “grattacielo” del mondo antico: l’Insula Felicles.

Sappiamo dalle fonti e documenti che a Roma risultavano circa 47.000 insulae e soltanto 1.800 domus. Le insule potevano ospitare anche 200 persone e, contrariamente ad oggi, il valore degli appartamenti diminuiva con il salire dei piani. Più si saliva verso gli ultimi livelli più diminuivano i servizi, come fognature e acqua, nonché bagni e cucine. Il progressivo aumento della popolazione nell’antica Roma comportò la costruzione di edifici anche di dieci piani, nonostante fosse previsto per legge un limite massimo di 70 piedi (21 metri circa). Sappiamo infatti che ogni imperatore cercherà di risolvere il problema abitativo nella Roma antica ma allo stesso tempo cercherà di mettere dei limiti all’altezza dei livelli di questi palazzi. Traiano e Augusto cercheranno di contenere anche il popolamento dell’Urbe, che ormai aveva raggiunto una dimensione mastodontica, avvicinandosi ad un milione di abitanti.

Per quanto riguarda le riforme attuate dal primo imperatore di Roma, Augusto pensò di abbassare l’altezza delle insulae a 60 piedi (circa 18 metri e mezzo), anche perché spesso alle necessità abitative si univano le varie speculazioni, che portavano spesso a superare questi limiti. Proprio a tal proposito viene citato un’edificio mostruoso del IV secolo, sorto tra il Pantheon e la Colonna Aureliana, che diventò meta di stupiti visitatori che volevano ammirare questa arditissima struttura, sia per la sua altezza che per la sua mole in larghezza e dimensioni.

Stiamo parlando dell’edificio protagonista del nostro articolo l’Insula Felicles, un vero e proprio grattacielo dell’epoca romana. Pensate che la fama di questo straordinario edificio era giunta sino in Africa, dove un autore di nome Tertulliano, predicando contro gli eretici valentiniani, affermava che questi ultimi nel tentativo di eguagliare la creazione sino a Dio creatore avevano trasformato “l’universo in una specie di grande palazzo mobiliato“, con Dio sotto i tetti (ad summas tegulas), con tanti piani quanti ne aveva a Roma l’Insula Felicles.

Tertulliano si felicitava pensando che al momento della morte i cristiani sarebbero saliti in Paradiso, mentre ai pagani sarebbe spettata la discesa all’inferno tra orribili supplizi. Per il divulgatore del Cristianesimo in Africa, l’Insula Felicles era l’ennesima riprova della malvagità dei pagani, che avevano innalzato un’insula così alta nel cielo, per sfidare i cieli del paradiso e, come una nuova Torre di Babele, l’Insula Felicles osava sfidare il creatore.

Naturalmente l’esempio dell’Insula Felicles rimane unico nel suo genere, ma non era raro nella Roma imperiale trovare edifici di cinque o sei piani, tanto che lo stesso Giovenale ci racconta di considerarsi fortunato perché per tornare nel proprio alloggio doveva salire solo fino al terzo piano, ma per tanti altri abitanti di Roma non era così.

Il poeta satirico inoltre evidenzia altri problemi collegati alle insulae, come i frequenti incendi che colpivano le zone popolari della città, e quindi immagina di rivolgersi a un abitante di un’insula che sta andando a fuoco e che abita molto più in alto del terzo piano (dove lui abitava) dicendo: “Già il terzo piano brucia e tu non sai nulla. Dal pianterreno in su c’è lo scompiglio, ma chi arrostirà per ultimo è quel miserabile che è protetto dalla pioggia solo dalle tegole, dove le colombe in amore vengono a deporre le loro uova“.

C’è quindi da solo da immaginare i pericoli che potevano celarsi in un’abitazione così ardita come l’Insula Felicles che superava i 40 metri, con almeno una decina di piani e la sua estensione mastodontica. Sembrerà strano, ma non tutte le insulae erano destinate ai ceti meno facoltosi con la classica tipologie dove il pianterreno si sviluppavano una serie di botteghe o magazzini, le tabernae come si può vedere a Ostia Antica o in altre città della Roma antica. Infatti vi erano insulae che al piano terra avevano un solo appartamento simile a una casa signorile, che veniva chiamata domus, mentre ai piani superiori vi erano i cenacula destinate a inquilini più poveri.

Purtroppo non ci sono resti dell’Insula Felicles, quindi arricchiamo questo nostro articolo con alcune immagini trovate in rete, e alcune foto delle insulae più famose, quelle dell’Ara Coeli a Roma, e quelle dell’area archeologica di Ostia Antica.

Tour e visite guidate Roma e provincia - Insulae a Roma antica e Ostia
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Non tutti potevano però permettersi una domus al pianterreno, ad esempio sappiamo che al tempo di Cesare, l’affitto annuo di una domus in un insula corrispondeva a circa 30.000 sesterzi (circa 200.000 euro l’anno, praticamente circa 20.000 euro al mese). Altra cosa non da poco è che spesso l’acqua corrente giungeva solo al primo piano mentre gli inquilini dei piani superiori dovevano attingere l’acqua alla fontana condominiale del cortile, oppure da una fontana pubblica fuori dall’insula.

Per comprendere appieno l’esosità degli affitti del tempo si deve immaginare che un moggio di grano costava tra i 3 e i 4 sesterzi, e che le largitiones prevedevano in 5 moggi la quantità necessaria a una famiglia media per sostenersi per un mese, mentre il salario di un manovale era, ai tempi di Cicerone, di 5 sesterzi al giorno (quindi l’affitto mensile era più di 500 volte superiore alla capacità di un manovale di sostenersi).

Come già detto, gli imperatori conoscevano bene la situazione e cercavano di venire incontro alla popolazione più povera a cui veniva rifusa di ben 1.000 sesterzi annui se si trattava di un abitante di Roma, e di 500 se si fosse trattato di abitante in suolo italico. Questa voce nel bilancio statale doveva pesare non poco sulle casse dello stato e particolarmente sull’Urbe di Roma. Tutto ciò fa pensare gli studiosi che l’Insula Felicles non fosse privata ma dello stato, destinata proprio ai poveri da sovvenzionare, una sorta di casa popolare.

L’idea di una gigantesca casa popolare che poteva contenere tanti appartamenti destinati alle classi sociali più basse, sollevando in questo modo i proprietari dal problema di riscuotere gli affitti delle case, spiegherebbe come mai fosse stato possibile lasciar costruire un’ edificio così straordinariamente grande nelle sue proporzioni, talmente colossali da attirare l’attenzione degli autori del tempo. Risulta perciò difficile pensare che se tutto ciò fosse stato fatto contro i regolamenti, e quindi frutto di corruzione, sarebbero fioccate diverse accuse con le successive ripercussioni sugli esecutori di tale complesso.

Rimanendo quindi sull’ipotesi di palazzo popolare si può immaginare pertanto che tale edificio sia stato realizzato con lavori eseguiti a regola d’arte soprattutto per assicurare la stabilità al palazzo ed evitarne il crollo. Si può quindi immaginare che per tale progetto siano stati contattati grandi architetti e utilizzati materiali di pregio, non tanto a livello estetico, perché alla fine si trattava comunque di abitazioni popolari, ma sicuramente ottimi a livello di resistenza e durata, evitando materiali in legno, tra l’altro di basso costo, e qualsiasi altro materiale infiammabile, il tutto non solo per diminuire l’eventualità di crolli e incendi, ma anche per assicurare una certa propaganda per il costruttore e soprattutto per il committente.

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