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Storie di Roma

Il blog di Fabio Salemme su RomaGuideTour.it

Le Naves Caducariae Romane e il Museo delle Navi di Fiumicino

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Continuiamo a esplorare il mondo navale dell’antica Roma, dopo aver scoperto il Porto di Mario, il successivo Porto di Traiano con il suo innovativo bacino navale esagonale, e le navalia, i cantieri arsenali utilizzati per la costruzione e manutenzione delle navi dell’Impero Romano. Oggi continuiamo a parlare di navi romane, ed in particolare delle naves caducariae, ovvero navi da carico usate sulle rotte commerciali fluviali dell’antica Roma.

Le naves caudicariae erano le tipiche imbarcazioni che risalivano il Tevere, con chiglia a carena piatta e un albero maestro reclinabile che poteva essere utilizzato come braccio di sollevamento per le merci. Le naves caudicariae erano impiegate per il trasporto di carichi molto pesanti e per tale motivo non potevano fare manovre con le vele o risalire la corrente remando, e quando dovevano trasportare merci pesanti risalendo il fiume, erano assicurati con delle funi a delle coppie di buoi che risalivano la riva destra del Tevere.

RomaGuideTour - Visite guidate a Roma - Portus Traiani Porto di Traiano Navalia
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Le naves caudicariae venivano principalmente utilizzate per trasporto di anfore contenenti prodotti alimentari come vino, olio e salse, ma vi erano anche altre tipologie d’imbarcazioni come i lenunculi di dimensioni più compatte ma solide e stabili, nonché abbastanza veloci grazie all’utilizzo di molti rematori. Per queste caratteristiche quindi i lenunculi venivano utilizzati come rimorchiatori per le operazioni di entrata ed uscita delle navi dal porto. Poi c’erano le scaphae, piccole imbarcazioni a remi con fondo piatto, impiegate sia per il trasporto di merci e persone da una sponda all’altra di fiumi e laghi, ma anche di supporto durante le manovre delle grandi navi. Sul fronte delle naves caudicariae rientrano e completano lo scenario le lintres, tipiche barchette fluviali con uno scafo stretto e allungato, basse fiancate e fondo piatto.

Per il trasporto navale di prodotti alimentari (e anche di altri materiali sfusi solidi e liquidi) si sfruttavano tantissimo le anfore di terracotta. Le anfore erano infatti il contenitore principale utilizzato nell’antica Roma, e potevano contenere vino proveniente dai Campi Flegrei, garum del sud della Spagna, olio della Betica o prodotti alimentari esotici da terre lontane. Tutte queste anfore, dopo essere arrivate a Roma, venivano però svuotate e gettate via; la ragione di questo spreco è che non era conveniente riutilizzarle, dato che la terracotta si impregnava del sapore del contenuto. Per immaginare la portata di questo commercio (e spreco) di anfore basti pensare che Monte Testaccio, una collina alta 35 metri che si trova presso la riva destra del Tevere nel quartiere di Testaccio, è comunemente chiamata anche Monte dei Cocci in quanto la collina artificiale è costituita quasi interamente da frammenti di anfore olearie, per un totale di circa 50.000.000 esemplari.

Partendo da questa vera e propria discarica selvaggia dell’antica Roma è possibile fare un po’ di calcoli, proprio come ha fatto Marco Lavinio Varo, il personaggio della nostra Storia a Storie di cui vi abbiamo già parlato nel nostro ultimo articolo sulle navalia. A Roma giungevano in un anno 60.000.000 modii di grano, dividendo la cifra per circa 1200 imbarcazioni, ognuna di esse contenente 50.000 modii, per un totale di circa 350 tonnellate. Il calcolo di Marco Lavinio Varo tiene in considerazione il fatto che la navigazione fluviale fosse interrotta durante i quattro mesi invernali, e in questo modo arrivava a una conclusione e ad una stima di transito fluviale medio sul Tevere di circa 5 grosse imbarcazioni di grano al giorno. E queste erano solo le naves caudicariae destinate al trasporto del grano, figuriamoci tutto il resto!

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