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Storie di Roma

Il blog di Fabio Salemme su RomaGuideTour.it

L’importanza degli Acquedotti nell’Antica Roma

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Abbiamo parlato in diverse occasioni di alcune tra le più importanti e riconoscibili opere della Roma antica, gli acquedotti romani. Per approfondimenti, vi suggeriamo anche la lettura dell’articolo sull’Acquedotto Alessandrino a Parco Sangalli e quello della Passeggiata tra acquedotti, terme e fontane di Roma. L’acqua è sempre stata un elemento molto importante per i romani, che con gli acquedotti sono riusciti a creare delle strutture che ancora oggi dominano il paesaggio di diverse città in Italia e non solo, dato che l’architettura degli acquedotti romani è stata esportata in tutto l’Impero Romano.

Tra le varie curiosità relative agli acquedotti dell’antica Roma si è scoperto che gli 11 acquedotti romani potevano assicurare un fabbisogno giornaliero che praticamente era il doppio rispetto a quello moderno. Molti rami degli acquedotti romani originali sono ancora oggi in parte funzionanti nella provincia di Roma, per esempio fornendo l’acqua necessaria al funzionamento di diverse fontane pubbliche della capitale, oltre alle classiche fontanelle di Roma note anche come “nasoni”.

Roma non è stata costruita in un giorno, e così neanche gli acquedotti. Prima della realizzazione di queste colossali opere di ingegneria che portavano ingenti quantità d’acqua da sorgenti collocate a km di distanza dall’urbe, i romani attingevano l’acqua dal fiume Tevere e dal suo principale affluente Aniene, ma sappiamo che la popolazione recuperava l’acqua anche da pozzi e vasche per la raccolta dell’acqua piovana.

L’Acquedotto dell’Acqua Appia sarà il primo acquedotto collegato alla città di Roma; la sua costruzione risale al 312 a.C., e fu commissionato dal censore Appio Claudio per raccogliere l’acqua da sorgenti a circa 10 kilometri fuori Roma. In seguito, la crescita della popolazione di Roma e delle sue necessità ha portato alla costruzione di un acquedotto in media ogni 60 anni. Gli acquedotti romani spesso raccoglievano l’acqua da diverse sorgenti naturali situate anche a diversi km da Roma; tra le sorgenti più lontane c’è sicuramente quella dell’Anio Vetus, situata a circa 87 km ad est di Roma.

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La portata degli acquedotti era calcolata in quinarie (1 quinaria =  0,48 litri); la portata più imponente tra gli acquedotti dell’antica Roma è quella dell’Anio Novus, che aveva una portata di 4.738 quinarie, cioè di più di 2.000 litri al secondo. Questi dati ci sono giunti tramite scritti di Sesto Giulio Frontino, che ha vissuto nel tardo I secolo d.C. ed ha scritto un saggio con diverse notizie sugli acquedotti romani, descrivendo in dettaglio le caratteristiche e i percorsi degli acquedotti dell’antica Roma.

La capacità totale dei nove acquedotti più antichi di Roma era di quasi un milione di metro cubi al giorno; si calcola che per una popolazione della capitale di circa un milione di persone, c’era una disponibilità di circa di 1.000 litri per abitante a differenza di oggi, che l’acqua a disposizione per abitante è circa 500 litri.

L’acqua delle forniture idriche romane veniva selezionata valutando la sua purezza, il sapore, la temperatura e diversi altri parametri di qualità, incluse le proprietà medicamentose. Per le fonti nuove i campioni dovevano essere analizzati in contenitori di bronzo di buona qualità, per studiare parametri come il grado di corrosione, l’effervescenza e il punto di ebollizione.

L’acqua si muoveva dalla fonte verso la città grazie alla forza di gravità, cioè l’acquedotto funzionava come uno “scivolo” per tutta la distanza che separava il punto della fonte allo sbocco. Per ottenere tale risultato il tracciato dell’acquedotto doveva svilupparsi con una quota leggermente più bassa avvicinandosi verso la città per mantenere la pendenza, e spesso erano scelte sorgenti situate in collina, in alto rispetto alla posizione di Roma.

Un elemento da non sottovalutare era la distanza dell’acquedotto tra la fonte e la capitale, che non era mai quella effettiva e più breve, ma una distanza che assecondava l’andamento naturale e le caratteristiche del terreno circostante, il modo da mantenere costantemente una pendenza regolare. Questo spesso portava diversi acquedotti a sovrapporsi in più livelli o confluire in altri per aumentarne la portata per poi servire diverse aree e parti di Roma. Più alto era l’acquedotto, maggiore era il numero dei quartieri e zone della città che poteva servire con varie diramazioni.

Per la realizzazione degli acquedotti romani venivano usati strumenti particolari che ancora oggi in forme più o meno simili si possono ritrovare nei moderni cantieri edili, come ad esempio il Chorobates, una livella composta da una panca con fili di piombo utilizzati per misurare l’inclinazione. Un altro strumento era il Dioptra che misurava l’allineamento e l’angolazione.

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La costruzione di un acquedotto era caratterizzata anche da strutture che permettevano l’ispezione della costruzione, come ad esempio appositi pozzetti e vasche limatorie, che permettevano di filtrare l’acqua e di rallentare il flusso.

Gli acquedotti dell’antica Roma erano pubblici e quindi di proprietà del governo che offriva gratuitamente il servizio idrico ai cittadini, che potevano attingere acqua tramite fontane pubbliche; era anche possibile avere acqua in casa mediante un allaccio privato pagando un tributo. Prima di arrivare ad una fonte pubblica, l’acqua era raccolta in una grande cisterna chiamata Castelum Acque, per poi venire distribuita alle fontane pubbliche, mentre l’eccedenza andava ai privati che pagavano la tassa per la fornitura privata.

Altra questione molto interessante era la gestione degli acquedotti in epoca imperiale, quando furono istituite tre figure professionali come il censore, il magistrato responsabile delle opere pubbliche, affiancato di solito da un edile curule che era invece responsabile, più genericamente, del demanio, e dai questori, che curavano aspetto economico, dal finanziamento per la realizzazione dell’opera alle spese di manutenzione e di retribuzione delle maestranze, nonché alla riscossione degli eventuali canoni di utilizzazione. Il censore affidava di solito la realizzazione di un acquedotto tramite la concessione in appalto, e ne curava poi il collaudo finale, mentre l’edile si occupava piuttosto della distribuzione delle acque e dell’erogazione.

Tra gli acquedotti romani più conosciuti e famosi c’è sicuramente l’Acquedotto dell’Acqua Vergine, le cui sorgenti sono collocate nella tenuta della Rustica e le sue condutture, quasi del tutto sotterranee, sono ancora oggi in funzione. L’acqua dell’Acquedotto dell’Acqua Vergine era garantita da 18 castelli di distribuzione ed aveva una portata di 1.202 litri al secondo. Ancora oggi l’Acquedotto dell’Acqua Vergine serve le principali fontane di Roma, come la Fontana di Trevi, la Fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona e la Fontana della Barcaccia a Piazza di Spagna.

E’ oggi possibile trovare la maggior parte degli acquedotti romani in un parco, il Parco degli Acquedotti. Si tratta di uno dei più grandi parchi di Roma con un’estensione di 240 ettari, praticamente duecento ettari in più dello stato di Città del Vaticano. All’interno del Parco degli Acquedotti è possibile trovare gli acquedotti Acqua Felice, Acqua Claudia e Anio Novus. Il Parco degli Acquedotti è stato utilizzato come scenografia naturale per diversi film famosi, come ad esempio Il Marchese del Grillo, La Grande Bellezza e Roma.

Una curiosità relativa alla nascita del Parco degli Acquedotti: il parco è nato a seguito di un piano regolatore che ha sottratto la zona alla speculazione edilizia ma ha anche ripulito la zona dalle case e baracche che si erano sovrapposte alle arcate degli acquedotti, cosa che è possibile vedere in alcune foto della zona tra gli anni 60 inizi e gli anni 70.

Interessati a scoprire gli acquedotti romani? Seguitemi nel mio tour degli acquedotti di Roma, o in uno dei miei altri popolari tour e visite guidate a Roma e provincia. Contattatemi per info e prenotazioni tour.

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