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Storie di Roma

Il blog di Fabio Salemme su RomaGuideTour.it

L’educazione nell’Antica Roma: il Sistema Scolastico Romano

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In questi giorni la vita delle città  e delle famiglie italiane cambia con la fine ufficiale delle vacanze estive (almeno per la maggioranza degli italiani) dovute all’inizio della nuova stagione scolastica. Ne approfittiamo per fare un salto indietro nel tempo e vedere che ruolo aveva, e come era strutturata l’educazione scolastica nell’antica Roma.

Nella Roma Imperiale, l’istruzione rappresentava un aspetto fondamentale per la formazione dei cittadini; il sistema educativo romano era organizzato al fine di garantire una formazione completa dalla prima infanzia fino all’età  adulta. Ma non è sempre stato così, soprattutto nella Roma arcaica e nella Roma antica e Repubblicana. Esploreremo insieme il sistema scolastico dell’antica Roma, partendo dalla scuola dell’infanzia fino all’istruzione superiore.

La formazione nell’antica Roma iniziava con l’educazione prescolastica, che era responsabilità  dei genitori. I bambini imparavano i principi basilari della lingua latina, oltre a sviluppare competenze sociali e familiari. Nella Roma arcaica erano le madri che si occupavano dell’educazione dei figli in età  prescolare. In alcuni casi, soprattutto per bambini maschi, erano i padri a incaricarsi dell’educazione dei piccoli, insegnandogli a leggere, scrivere, nuotare e combattere. Dopo l’età  prescolastica, i bambini venivano affidati all’educazione esterna: pedagoghi famosi a caro prezzo per le classi agiate, mentre per tutti gli altri una delle tante scuole private che abbondavano a Roma verso la fine del II secolo a.C.

La pratica di affidare i figli all’educazione esterna non era però vista bene da tutti, a partire da Plinio il Giovane, che ne fu uno dei principali detrattori. Plinio il Giovane infatti considerava un declino nei costumi della società  romana il fatto che le madri rinunciassero all’educazione dei loro figli proprio quando i bambini avevano più bisogno della guida della mamma. Aggiungendo anche giudizi di stampo patriarcale, come ad esempio la convinzione che senza l’impegno dell’educazione ai figli le donne romane rischiavano di annoiarsi e, sempre secondo Plinio il Giovane, di “passare dalla noia alla dissolutezza“.

All’età  di 7 anni, i giovani romani iniziavano la scuola primaria o elementare, chiamata “ludus litterarius” o “litterator“. Qui i ragazzi apprendevano l’alfabeto latino, composto da 23 lettere, attraverso l’utilizzo di tavolette cerate e stili. Copiavano modelli di scrittura e imparavano regole grammaticali e ortografiche. La scuola elementare era frequentata principalmente dai bambini appartenenti alle classi sociali più agiate. I bambini delle classi sociali inferiori spesso lavoravano insieme ai genitori nelle attività  agricole o artigianali. Tuttavia, esistevano scuole pubbliche gratuite finanziate dallo stato, sebbene fossero meno diffuse, per permettere ai bambini meno abbienti di accedere all’istruzione.

Con il passare degli anni, i ragazzi delle classi sociali più benestanti progredivano verso la scuola secondaria, dove venivano insegnate materie come retorica, grammatica, filosofia e storia. Gli insegnanti, noti come “grammatici” o “rhetores“, si occupavano dell’educazione avanzata e della formazione dei giovani romani.

In realtà  il sistema scolastico della Roma Repubblicana era traballante per altre ragioni. La prima, per il fatto che i magister fossero principalmente schiavi o liberti, e non erano rispettati dagli allievi; per farsi obbedire i magister dovevano spesso ricorrere alla frusta e altre punizioni corporali che spesso arrivavano all’abuso e al sadismo, come racconta Marziale.

Le lezioni delle scuole primarie si svolgevano in condizioni precarie, iniziando all’alba per terminare a mezzogiorno. Si tenevano di solito in piccoli locali separati dai rumori del traffico di strada solamente da una tenda. Anche il mobilio era limitato e di base: la cattedra per il maestro, banchi o sgabelli per gli allievi, una lavagna e qualche abaco per fare di conto.

La professione di insegnante era inoltre scarsamente considerata in campo sociale, e poco retribuita. I magister avevano uno stipendio bassissimo, di circa 8 assi al mese. Considerate che all’epoca con un asse si potevano acquistare, in alternativa, circa mezzo chilo di grano, o due chili di lupini, o un quarto di vino, o mezzo chilo di pane, o decidere di spenderlo per entrare alle terme. Di conseguenza, quasi tutti i maestri erano costretti ad arrotondare le loro entrate con secondi e terzi lavori, tipicamente offrendo servizi di scrivano pubblico o di contabilità  di base ai commercianti per il pagamento delle tasse, e spesso barattando i servizi a cambio di beni e non di denaro.

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Fu soltanto in epoca imperiale, grazie all’imperatore Vespasiano, che finalmente sì riconobbe l’importanza del ruolo dei magister, per i quali Vespasiano fissò il salario annuo a 100.000 sesterzi, erogati direttamente dalla “cassa imperiale privata” (fiscus). Vespasiano è stato quindi il primo imperatore romano a creare la figura dell’insegnante statale stipendiato dall’amministrazione pubblica, anche se all’epoca, avendone i requisiti soprattutto economici ma anche educativi, era permesso a chiunque di aprire una scuola di grammatica o di retorica.

La ragione “politica” per la quale finalmente si riconobbe il valore dell’istruzione si deve all’espansione di Roma. A partire dal II secolo a.C., quando Roma iniziò a dominare sulla Grecia, ci si rese conto che i governanti romani avevano un livello di educazione di molto inferiore a quello dei loro sudditi. Questo aspetto favorì la creazione a Roma di scuole con una formazione culturale simile a quella dei greci, ma siccome questo tipo di educazione superiore facilitava l’ascesa al potere politico grazie l’eloquenza per dominare comizi e assemblee, l’educazione superiore dell’antica Roma fu limitata solo ai giovani delle classi più elevate.

L’istruzione superiore era infatti riservata a una ridotta élite di studenti, e includeva corsi di diritto, medicina, filosofia e matematica. Le lezioni erano tenute da professori rinomati, conosciuti come “doctores“. Gli studenti più facoltosi e con più potevano accedere alle prestigiose scuole di retorica, dove venivano preparati per sfide legate all’oratoria e alla politica. Le scuole per l’insegnamento dell’eloquenza furono comunque al centro delle polemiche nell’antica Roma, fino a che non furono gradualmente soppresse, per riaprire soltanto nell’età  di Cesare, quando Cicerone scrisse appunto i suoi trattati sulla retorica, e successivamente nel periodo imperiale dei Flavi, mecenati di Quintiliano.

A partire dal II secolo d.C., grazie all’imperatore Adriano, si estese la diffusione dell’insegnamento elementare in tutte le regioni dell’impero, anche le più distanti; per convincere i magister ad andare ad insegnare in località  remote e potenzialmente pericolose furono anche offerti “incentivi” ai maestri, come l’esenzione dal pagamento delle tasse.

L’educazione nell’antica Roma non si limitava solo all’ambito scolastico. Alcuni giovani venivano addestrati in scuole militari, dove imparavano l’arte della guerra e si preparavano per una carriera nell’esercito. Allo stesso modo, i futuri gladiatori frequentavano scuole specializzate per gladiatori, per diventare combattenti ai giochi romani. In un precedente articolo abbiamo già  parlato del Ludus Magnus, la principale scuola e palestra di gladiatori giusto a fianco del Colosseo.

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